Il Governo sta portando un nuovo attacco alla pratica delle intercettazioni. L’attacco non proviene da un esecutivo di destra, che non sarebbe certo nuovo a mosse di questo tipo, ma da uno di sinistra. L’ultimo ddl che regolamenta il processo penale, fortemente voluto dalla maggioranza Pd, infatti, rischia di compromettere la pratica delle intercettazioni, dal momento che sanziona pesantemente i giornalisti che le diffondono, addirittura fino a paventare il carcere (il contenuto è ancora in discussione).

Il ddl ha suscitato le reazioni negative di molto organismi, tra cui quelli giudiziari, preoccupati dalle conseguenze sia in campo investigativo che giornalistica. Sono recenti le dichiarazioni di Armando Spataro, procuratore di Torino, che a margine di una intervista rilasciata all’agenzia stampa ha affermato: “E’ grave l’attacco al diritto-dovere di informazione della stampa che in democrazia va difeso con forza. Il legislatore deve convincersi che non gli spetta né valutare la rilevanza di una conversazione in un processo penale (che compete ai giudici), né la rilevanza pubblica della notizia. In caso di criticità, la legge prevede già gli strumenti per farvi fronte, in particolare quelli disciplinari per i giornalisti”.

A preoccupare il procuratore non è tanto l’entità della sanzione, che potrà essere anche irrilevante o lieve, ma l’effetto dissuasivo, che appiattirà i giornalisti su posizioni di servilismo o di eccessiva prudenza. Insomma, il giornalismo d’inchiesta rischia di morire.

Ancora più preoccupato è il presente dell’ANM, Associazione Nazionale Magistrati, Vincenzo Sabelli, che assegna al ddl una colpa ancora più grande. “Altro che intercettazioni, qui sono a rischio tutte le grandi indagini per terrorismo, mafia, corruzione. Non difendo chi danneggia gli altri con la diffusione di registrazioni fraudolente anche se mi chiedo se sia proprio una norma necessaria visto che nel codice ci sono già due articoli per punire condotte di questo tipo. Mi riferisco alla diffamazione e all’interferenza illecita nella vita privata”.

Gli fa eco Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Anti-Corruzione, che se da un lato lamenta la mancanza di privacy dall’altro assegna un ruolo di primo piano alle intercettazioni: “Il tema dei colloqui rubati impatta certamente sulla privacy delle persone e anch’io trovo giusto che ci siano limiti alla divulgabilità delle intercettazioni. Ma quante volte i soggetti,vittime di estorsioni, penso a tanti imprenditori, sono andati all’appuntamento coi loro aguzzini con un registratore nascosto, una trasmittente. E’ proprio grazie a quei colloqui rubati che è stato possibile inferire dei colpi seri alla criminalità organizzata“.