Non risparmia nessuno la malattia lenta e dolorosa che sta portando alla morte la carta stampata. Nemmeno le testate più famose di un grande paese come gli Stati Uniti, che nei decenni si è imposto come faro mondiale dell’informazione, come testimoniano tra le altre cose i 19 premi Pulizer vinti. Insomma, anche il Philadelphia Inquirer sta morendo. Anzi, stava morendo. Perchè, almeno in questo caso, l’emorragia di lettori si è arrestata e si è trovato un modo per convivere con essa.

Cos’è successo realmente? Semplicemente, il giornale si è trasformato da entità a scopo di lucro, come sono tutte le testate del resto, a ente no-profit. La faccenda, a dire il vero, è più complessa di così. Il nodo cruciale è l’acquisizione della società che gestisce il Philadelphia Inquirer e altre tre testate della città a una fondazione senza scopo di lucro. L’Institute of Journalism in New Media ha acquistato il Philadelphia Media Network. Questo evento segnala una discontinuità rispetto alla tipologia di cambio proprietario a cui stiamo assistendo in questo momento. In genere ad acquistare organi di informazione sono magnati dell’industria (il riferimento è a Jeff Bezos, nuovo padrone del Washington Post).

La virata verso il no-profit non ha precedenti nel corso dell’imprenditoria giornalistica. Da fuori, l’operazione appare come una svolta di tipo etico più che economico. L’informazione dismette i panni – piuttosto stretti – dell’azienda e indossa quelli che gli spettano di diritto, da “bene collettivo”, e quindi avulsi dalle dinamiche imposte dal capitale.

Sicuramente, un significato del genere può essere attribuito. C’è da dire, però, che l’evento, nella sostanza, presenta elementi che con il romanticismo hanno poco a che fare. Anche in questo caso di parla di soldi. L’acquisizione di stampo no-profit è, paradossalmente, una manovra economica.

Il meccanismo è semplice. Le società no-profit hanno un vantaggio: sono esentasse. I giornali invece non lo sono affatto. Trasformando la testata in una “creatura” senza scopo di lucro, la si svincola dall’obbligo di pagare le tasse. Contemporaneamente, però, in quanto no-profit, non può generare profitto, che è ben diverso dal non poter generare entrare. Semplicemente, deve reinvestire nell’organizzazione tutto ciò che guadagna. Le conseguenze quindi sono due. La prima, è la necessità di assumere i giornalisti come collaboratori esterni, il ché potrebbe portare a qualche problema sia dal punto di vista etico che organizzativo. La seconda, molto più positiva, è la possibilità del giornale di creare innovazione, sostenuta dalla nuova allocazione delle risorse.