Una delle esperienza più belle per un giornalista è l’intervista politica. Lo è per numerose ragioni. In primo luogo, si ha l’opportunità di conoscere, anzi di esplorare, una persona che detiene – certo a vari livelli – il potere, quindi una figura importante. In secondo luogo, da la possibilità di soddisfare la propria curiosità. Infine, – ma ciò vale soprattutto per i più competitivi – rappresenta una sfida non indifferente.

Il personaggio politico, soprattutto se ha molta esperienza, possiede per definizione capacità dialettiche. Il rischio, e il maggior ostacolo per un giornalista che non vuole fare altro che i proprio dovere, è che l’intervista si trasformi in un comizio, e quindi appaia – senza volerlo – di parte.

Detta così, sembra proprio che durante la realizzazione dell’intervista il potere “stia” tutto dalla parte del politico. Il giornalista appare come la classica pecora di fronte al lupo, pronta a essere sbranata da un professionista dell’eloquenza. Certo, sono numerosi i casi in cui un giornalista ha messo alla berlina un politico, ma questo ribaltamento di ruolo, almeno nell’immaginario collettivo, scaturiscono più dalla forza di personalità di quel giornalista che da una questione professionale.

La verità, però, è un’altra. Può sembrare strano ma tra giornalista e politico a dominare è il primo. E lo è strutturalmente. Sono proprio i meccanismi dell’intervista a conferire potere a chi pone le domande. Ovviamente, se e solo se l’intervista è condotta secondi i crismi. Ecco perché.

  • Il giornalista crea l’agenda, il politico la subisce. E’ l’intervistatore a fare le domande, è lui a decidere i temi, che – ovviamente – possono risultare scomodi per l’intervistato.
  • Il giornalista può riformulare le risposte del politico. Dopo una risposta, e in genere a mo’ di premessa della domanda successiva, l’intervistatore può riprendere le parole del politico e, se necessario, reinterpretarle. Ufficialmente, per facilitare la comprensione di chi ascolta o legge. Ufficiosamente, per stimolare una determinata visione delle cose. L’intervistato, in questa prospettiva, ha un potere solo relativo persino su ciò che dice.
  • Il giornalista può interrompere il politico, se questo va fuori tema. Questo è un potere enorme, perché priva il politico della possibilità di difendersi, di spostare l’intervista su un territorio a lui congeniale.

Il rischio è che l’intervista degeneri in scontro. Ora, questa deriva è molto pericolosa se l’intervista è televisiva, perché il litigio è visibile. In questo caso, dipende tutto dalle parole del giornalista. In altri casi è bene dotarsi di registratore e, previo consenso dell’intervistato, registrare, in modo da proteggersi da eventuali ritrattazioni.