Il panorama del giornalismo professionista, a tutte le latitudini, è pessimo. Le dinamiche del web hanno distrutto il modello di business e introdotto elementi in grado di mettere in dubbio il diritto all’esistenza dell’esperto dell’informazione. In un mondo in cui basta uno smartphone per diventare reporter, che motivo ha di esistere un esperto che – magari con qualche ora di ritardo – rielabora e diffonde la notizia? La risposta a questa domanda potrebbe essere la serie di numeri che simboleggia il declino del mestiere: i precari sono sempre di più, il reddito scende, la qualità dei pezzi – schiacciata tra la mancanza di finanziamenti e le esigenze di tempestività – è sempre più bassa.

L’umiliazione forse più grande è data dal fatto che il lavoro dei giornalisti è in continuazione rubato. Uno si fa il classico mazzo per trovare una notizia, crea un pezzo, lo diffonde, ed ecco che viene utilizzato da un’orgia di blog e testate online pro-clickbait, senza nessuna citazione, senza nessun riconoscimento.

In un conteso così depresso, si vede però una piccola luce in fondo al tunnel. E’ la luce di Tidbit, un social. Esatto, il volto del salvatore del giornalismo è il social, uno strumento “del demonio”; o dell’assassino del giornalismo professionista, il web.

Tidbit è un social-market place nel quale si incontrano chi vuole vendere un contenuto giornalistico e chi lo vuole comprare. Niente furti di notizie, solo acquisti consapevoli e regolarizzati. E’ possibile partecipare in qualità di editore o di giornalista. I contenuti sono contrassegnati in base alle categorie: testo, video, audio, foto. Ufficialmente si può vendere di tutto, a patto che ci sia mercato. E’ possibile anche, in qualità di editore, commissionare la ricerca di una notizia o un pezzo giornalistico.

Effettivamente Tidbit è un’idea geniale. In primo luogo, perché contrasta una tendenza negativa, sia dal punto di vista legale e morale, di fatto regolarizzando – a beneficio di tutte le parti in gioco – una situazione di fatto, ossia l’acquisizione frenetica e incontrollata di contenuti e fonti. In secondo luogo, perché risponde a una specifica esigenza, ossia quella dei giornalisti di tutelare il proprio lavoro, di non vedersi derubati ogni giorno che passa.

L’unico problema è relativo alla lingue. Quello di Tidbit è un modello che può funzionare completamente solo in inglese. Solo il mercato in lingue inglese, infatti, può essere sufficiente grande da giustificare una piattaforma. Per il resto, potrebbe esserci qualche scrupolo di natura morale. Se è vero che il problema dell’acquisizione “gratis” di fonti è risolto, è anche vero che il riconoscimento è solo di natura economica, particolare che potrebbe svalutare il lavoro dal punto di vista del suo significato.