Alcune forze cercano di resistere al cambiamento. E’ sempre accaduto. Oggi più di ieri, però, chi non si adegua alle dinamiche il web 2.0 impone, rischia di soccombere. Ciò risulta evidente nel caso di molte professioni ma soprattutto per il mondo del giornalismo. C’è chi non ha accettato di buon grado le novità, come il New York Times, e ora si trova ad affrontare una crisi quasi insostenibile. Ma anche chi ha raccolto della sfida si trova a gestire alcuni problemi inattesi. Anche nella migliore delle ipotesi, c’è ancora molta strada da fare.

O almeno questa è l’idea di Andrea Stroppa, ricercatore dell’Huffington Post, che in un recente editoriale ha descritto i paradossi che caratterizzano le redazioni delle testate che hanno preferito il nuovo al vecchio.

Il paradosso del giornalismo 2.0

Il paradosso nasce dalle dinamiche che caratterizzano questo periodo di transazione. I modelli di giornalismo di una volta sono stati rimaneggiati, per quanto possibile, per i nuovi canali e i nuovi mezzi. Sono stati aggiunti professioni e professionalità a quelle già esistenti. Sicché oggi le redazioni – delle testate digital-friendly – sono piene di figure quali i social discovery specialist, data scientist, community manager, social adv analyst.

Il problema è che se metti assieme il nuovo e il vecchio, e i rispettivi esponenti parlano linguaggi diversi, probabilmente ne nascerà qualche conflitto. Dunque le redazioni delle testate online stanno ancora cercando di scegliere tra i click e la qualità. Qualcuno potrà obiettare che sono necessari entrambi gli elementi, e che possono essere considerate come le due facce della stessa medaglia. In linea teorica è certamente così, peccato che raramente si sia trovata la quadra. Le conseguenze di questa diatriba hanno prodotto alcune situazioni particolari. Una su tutte: il sito del Corriere della Sera che posta immagini di gattini. Anche le altre testate, sia chiaro, non scherzano affatto: se lo facessero, non parlerebbero così tanto di gossip (click) e punterebbero di più sull’approfondimento (qualità).

Probabilmente, la chiave o – in una prospettiva più catastrofista – la terapia a questa patologia schizofrenica ha più a che fare con il modello di business che con il modello di giornalismo. D’altronde, se la necessità di catturare click ha raggiunto livelli spasmodici è anche perché, altrimenti, la sopravvivenza diventa una speranza.

Eppure non ci si può esimere dal cambiamento. E Andrea Stroppa ce lo ricorda con una massima giapponese: “Possiamo adattare un concetto dell’esperto spadaccino giapponese Miyamoto Musashi: la natura è mutevole e l’adattamento è l’unica forma di sopravvivenza. Chi pensa quindi che rimarrà immune agli avvenimenti di oggi scoprirà con rammarico che non sarà così.”