Secondo George Orwell, che oltre a essere un superbo romanziere, esercitava con regolarità ed efficacia la professionista di giornalista, “il giornalismo consiste nel pubblicare ciò che alcuni vorrebbero non fosse pubblicato“. Un aforisma che nei piani alti di Bruxelles non conoscono, o hanno deciso deliberatamente di ignorare. Almeno a giudicare dalla direttiva europea emanata qualche mese fa, che rischia di mettere la parola fine al giornalismo d’inchiesta nel Vecchio Continente.

Questa direttiva preserva, in modo abbastanza aggressivo (sanzioni civili e penali) il segreto aziendale, anche nel caso in cui i “segreti” siano di interesse pubblico. Lo scandalo è montato soprattutto in Francia, e grazie a Elise Lucet, una sorta di Milena Gabanelli d’Oltralpe (e un po’ più autorevole). La giornalista ha lanciato una petizione, promossa da buona parte dei giornalisti francesi. Un impegno collettivo, questo, che ha raccolto un grande successo: sono state registrate oltre 100.000 firme in una settimane e 400.000 in un mese.

L’Italia, purtroppo, dorme. L’emanazione della direttiva le petizione sono state praticamente ignorati dai media, e di conseguenze anche dall’opinione pubblica. Forse non è un caso, in un paese che è caratterizzato da un indice di libertà dell’informazione piuttosto basso (tra i più bassi in Europa). A dare un po’ di risalto alla vicenda, solo qualche parlamentare del Movimento Cinque Stelle (soprattutto Davide Tamburrino).

Il rischio è grande. Se questa direttiva europea venisse rispettata al 100%, e quindi i governi nazionali – come le leggi comunitarie impongono di fare, d’altronde – varassero norme per garantire in modo stringente il segreto aziendale, molte importanti inchieste giornalistiche degli ultimi anni non sarebbero state né realizzate né tanto meno pubblicate.

Un esempio? La gigantesca inchiesta LuxLeaks, che ha fatto luce sugli accordi sotto banco tra le autorità di vigilanza economica e finanziaria dell’Unione Europea e 31 importanti aziende europee. Al centro dello scandalo, l’attuale presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker – proprio da qui nasce l’interesse pubblico.

La preoccupazione più grande è proprio quello che le multinazionali e i colossi dell’industria possano utilizzare questa direttiva – e le norme conseguenti che presumibilmente verranno varate dai singoli governi nazionali – per impedire che informazioni non proprio comode, ma di interesse pubblico, escano allo scoperto. Questa preoccupazione è giustificata soprattutto da un particolare: i soli a essere stati consultati sono stati gli esponenti delle grandi aziende e delle lobby, mentre i giornalisti e le personalità delle ONG non hanno preso parte (non certo per loro volontà) ai lavori di redazione del testo della direttiva.