Facebook un tempo era il paradiso terrestre dei marketer e dei comunicatori. A essere premiato era il merito e la qualità. Un ambiente dopotutto puro, in cui era sufficiente produrre un contenuto di qualità e adatto al proprio target per garantirsi la necessaria visibilità.

Poi, qualcosa è cambiato. Si è verificata una evoluzione che forse era natura delle cose, ma i cui risvolti si sono rivelati di gran lunga peggiori del previsto. Un’evoluzione che è avvenuta su due fronti. Il primo fronte è quello numerico. Facebook ha acquisito numeri estremamente alti, conquistando una forza contrattuale schiacciante rispetto ai suoi fruitori. Il secondo fronte è quello economico, anzi finanziario. Facebook si è quotato in borsa, quindi ha iniziato a curare gli interessi degli azionisti. In parole povere, ha dovuto cambiare il suo modello di business per renderlo più redditizio. Lo ha fatto cambiando l’algoritmo dal quale dipende la reach delle pagine. Il risultato è stato il crollo repentino della reach media (-80%).

Facebook è diventato quindi un paid media. Per avere visibilità, quella visibilità che prima era dovuta e scontata, ora occorre pagare, sponsorizzando i post. Niente da dire sulla qualità del servizio: la profilazione è ottima e si raggiunge veramente il proprio target. Ma è innegabile: la svolta paid è fastidiosa. Anche perché ha avuto risvolti non proprio positivi non solo per le aziende, ma anche per Facebook stesso.

A partire dall’evoluzione in senso paid si sono sviluppate alcune dinamiche negative. La prima vede al centro la questione della qualità. Se il criterio per garantire la visibilità ai propri post non è più la qualità, ma il vil danaro, è palese che nessun brand curerà granché la qualità, o come minimo la porrà al secondo posto. Va da sé che ciò non giova alla creatività e all’innovazione.

C’è comunque un’alternativa che permette alle aziende e ai marketer di sfuggire a questa dinamica. E’ una alternativa molto praticabile – potremmo dire “di moda” – ma difficile da mettere in atto: utilizzare l’elemento unconventional, ossia creare azioni di comunicazione virali ed estremamente ingaggianti. Una case history emblematica è quella di Burger King Novergia, che proprio sui social è stata autrice di una iniziativa geniale. In un post, ovviamente diventato virale, offriva un panino in cambio del ban perpetuo. Le scelte venivano presentate da un lato con la frase “sono un vero fan” e dall’altra “sono un traditore”. Proprio i traditori avevano diritto a un panino gratis. Diciamo che le due alternative si sono dimostrate all’altezza una dell’altra, ma la notizia più importante è la mole di traffico generato, e tutto bypassando la logica paid (o comunque ponendola in secondo piano).