In questo periodo il termine formazione è sulla bocca di tutti. Non tanto per il suo valore intrinseco, evidente oggi ancor più di ieri, ma perché la scena politica è dominata dai dibattiti sulla riforma della scuola, la cosiddetta “Buona Scuola“, che certamente non sta suscitando pareri unanimi.

Il problema è che la riforma potrebbe peggiorare – almeno a detta dei detrattori – un panorama già profondamente in crisi. Anzi, vicino al crollo. Sicché oggi è utile riscoprire un libro uscito un anno fa, ma ancora attualissimo (ciò fa capire quanto poco sia cambiata la situazione): L’Italia dell’ignoranza. Crisi della scuola e declino del paese, scritto dalla professoressa Graziella Priulla (docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Catania) e pubblicato dalla casa editrice Franco Angeli.

Il ritratto che l’autrice dipinge della scuola è impietoso, come è impietoso quello che fa sulle principali vittime della crisi scolastica e del sistema educativo italiano: i ragazzi. Durante la presentazione del suo saggio l’insegnante infatti dichiarò  che “i nostri giovani sono i nuovi poveri e non solo sul piano materiale. Intere generazioni hanno deficit culturali inauditi, dispongono solo di una versione rattrappita della lingua italiana, hanno perduto le competenze semantiche, storiche e logiche, non riescono più a concatenare gli eventi. Meno del 20% dei 15enni è in grado di leggere correntemente”.

Senza contare poi che la scuola – come anche le Università – sono considerate incapaci di offrire un orizzonte lavorativo dignitoso. “Il titolo di studio non è più visto come un traguardo per la propria istruzione, ma un certificato necessario solo per fare un concorso” ha constatato la professoressa.

Le cause del declino sono sicuramente materiali – il riferimento è ai ripetuti tagli alla scuola pubblica che gli ultimi quattro governi hanno varato – ma riguardano anche i contenuti e come questi vengono organizzati. Il problema, a detta della professoressa Graziella Priulla, consiste nell’incapacità della scuola di offrire una visione di insieme, un percorso di saperi che in qualche modo possiede una sua coerenza interna.

Questi è uno dei motivi per cui molto giovani, soprattutto una volta usciti da scuola, tendono a diffidare dalle università. Il senso di disorientamento si intensifica quando si trova ad affrontare materie che poco hanno a che fare con il mondo del lavoro. Ma se il mondo dell’istruzione, e in particolare il sistema educativo italiano, non si aggiorna, a farlo è il web e – in una certa misura – gli internauti stessi. Non stupisce, in questo senso – l’ascesa dei canali alternativi. Il rischio di eterogeneità viene evitato: a decidere il proprio percorso formativo è lo studente stesso. Questo, a fronte di una università che non offre altrettanto, è sicuramente un bene.