L’Italia si è trovata in pochi anni dall’essere un paese tra i più ricchi del mondo, con una disoccupazione molto bassa, ad essere un paese in declino. E’ arrivata la crisi e ancora non se n’è andata. In altri paesi lo ha fatto, in altri paesi non è mai giunta. Morale della favola? L’Italia è oggi indietro, e rischia di restarci o addirittura veder aumentato il divario.

Queste evidenze si sono abbattute tanto a livello macro che a livello micro. Nel primo caso è stata registrata una sofferenza intensa in tutti i parametri: Pil, debito, deficit… Nel secondo caso, il Bel Paese è diventato teatro di piccole e grandi tragedie personali: c’è chi ha perso il posto di lavoro e non lo trova, chi – pur avendolo – non gode di un tenore di vita accettabile a causa della precarietà e degli stipendi troppo bassi.

La soluzione, o almeno una delle tante, che permette di sconfiggere la crisi a entrambi i livelli è la stessa: la formazione.

A livello micro, la questione è un po’ complessa. Una delle zavorre italiane è la scarsa competitività. Come possono le imprese italiane competere con quelle dei paesi emergenti, che vendono le stesse merci a un costo più contenuto? Non che il sistema non si sia dato delle risposte, ma sono state risposte pericolose: abbassando gli stipendi, tagliando sul personale. Peccato che, a fronte di benefici momentanei, si sia in questo modo peggiorato la situazione. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la deflazione.

E’ evidentemente che la soluzione a lungo termine non può essere quella di tagliare sulle spese, dal momento che competitor come la Cina e l’India sul quel terreno vinceranno sempre. E’ chiaro che occorre puntare sul capitale umano. E il capitale umano ha bisogno della formazione per fruttare.

A livello personale, è ancora la formazione a fungere da ancora di salvezza. E’ una questione di domanda e di offerta. La domanda di lavoro è aumentata, l’offerta è diminuita. Per emergere occorre essere più competenti e aggiornati degli altri. Dunque occorre formarsi.

Peccato che la spesa per la formazione sia esigua in Italia. In teoria, le occasioni per aggiornarsi sono poche, se si seguono i canali tradizionali. E se magari l’impresa nella quale si lavora decide di tenere corsi, è probabile che siano scadenti.