Stando a quanto afferma una recentissima indagine condotta dall’Osservatorio Nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza Paidoss, sono circa 260 mila i minori che lavorano nel nostro Paese, con una quota rilevante (quasi il 50%) di coloro che non vengono pagati, poichè lavorano in maniera prevalente o esclusiva in ambito familiare.

Tuttavia, non è questo il dato che sembra far discutere maggiormente sociologi, economisti & co. Il dato più evidente è quello fornito da un nuovo studio portato avanti da Datanalysis su un campione di 1.000 genitori di bambini e ragazzini/e under 16, e secondo cui ben il 54% delle mamme e dei papà sarebbe concorde nel giustificare l’abbandono scolastico dei propri figli, se fosse necessario per poterli far guadagnare e aiutare la famiglia.

Al di là di tale valutazione, appare evidente come il mondo della formazione italiana debba orientarsi necessariamente verso una maggiore pragmaticità di insegnamento. Non è certo un caso che in Germania, a partire dai 15 anni di età, i giovani possano alternare le lezioni in classe ad apprendistati regolarmente retribuiti, e che in altri Paesi europei viene spinta in maniera significativa la possibilità di poter integrare la propria formazione teorica con un pò di pratica.

Ad ogni modo, guai a pensare che tali valutazioni da parte dei genitori italiani siano di recente formazione, o siano dettate dalla crisi. Un’indagine Istat/Ilo realizzata oltre 15 anni fa proponeva infatti percentuali piuttosto simili, manifestando dunque che alla base di tali considerazioni non vi sarebbe solamente la povertà e la necessità di usufruire delle prestazioni lavorative dei propri figli, quanto anche la valutazione dell’idea di base che tutti, in famiglia, devono dare una mano, e che in fondo è meglio che i ragazzi siano occupati in qualcosa di utile al di fuori della scuola, piuttosto che essere abbandonati a sè stessi, in mancanza di valide e concrete alternative.

Permane infine una certa sfiducia nei confronti del mondo della scuola, quale strumento utile ai fini del lavoro. È proprio per questo motivo che alcuni genitori ritengono più importante che i ragazzi facciano precocemente un’esperienza lavorativa, piuttosto che prolunghino in maniera apparentemente inefficace la propria permanenza tra i banchi (alimentando pertanto un dannoso tasso di abbandono).

La soluzione? Probabilmente, è quella di permettere un apprendimento personalizzato, che possa basarsi sulle reali passioni e sui concreti interessi del giovane, e che possa rispecchiare le sue esigenze in merito a tempi e modi di insegnamento