Content is the king è una delle verità di fatto che ormai fanno parte dell’immaginario collettivo di chi comunica su internet. In effetti il contenuto – in verità la sua qualità – è importante, importantissimo. Ma non è il re. C’è qualcuno più importante di lui ed è…. Il lettore. Reader is the king, dunque.

A dimostrarlo è il New York Times, versione digitale. Il famoso giornale americano ha fatto capire al mondo che la qualità dei contenuti da sola non basta. Nonostante i suoi testi rappresentino il non plus ultra del giornalismo online, si è visto rubare terreno da un numero significativo di piccole realtà che, pur non vantando nemmeno alla lontana la stessa credibilità del colosso dell’informazione statunitense, hanno conquistato una certa audience. Ma se il content is the king, perché il New York Times sta soffrendo?

La risposta è semplice: non sono riusciti a raggiungere i loro lettori. Magari hanno aspettato che arrivassero con i loro piedi (d’altronde stiamo parlando del New York Times). Altri, invece, hanno lavorato alacremente per offrire i propri contenuti nel posto giusto, al momento giusto, alle persone giuste. Si sono prodigati nella realizzazione delle tecniche push, e gli andata bene.

Quale insegnamento si può trarre dalle sventure del New York Time? Una semplicissima: le digital pr stanno diventando importantissima, proprio come la SEO. Il merito (o la colpa) di ciò va all’ascesa dei social network e alla presa di consapevolezza degli utenti circa il proprio “potere” (che è più grande di quanto si possa pensare).

Non tutti i colossi dell’informazione, però, hanno compiuto gli stessi errori. Il Wall Street Journal sta tenendo il campo molto bene, e infatti utilizzano un approccio diverso. Sì finalizzato alla realizzazione di contenuti eccellenti, ma anche – e forse soprattutto – alla conquista del lettore, dell’internauta. Quando un giornalista scrive un articolo, non finisce certo lì. E’ in quel momento che si attiva una imponente squadra di professionisti (chiamata “audience team” formata da vari SEO specialist, Social Editor e analisti di dati).

Sicché il Wall Street Journal, a furia di colpire il target, riesce a ricostruire il famoso funnel. O, per meglio dire, farlo percorrere al maggior numero di utenti possibili. Sicché il lettore casuale, opportunamente raggiunto, diventa lettore abituale, poi sottoscrittore, lettore fidelizzati e infine “evangelist” o “web ambasciador”.

Quello del Wall Street Journal – e di molte altre realtà – è un approccio saggio perché al passo con i tempi. Soprattutto, è un approccio che si basa su un impianto strategico che coinvolge l’audience e non solo i contenuti.