Uno degli aspetti più positivi della PNL (Programmazione Neurolinguistica) e che spesso viene poco considerato consiste nella quantità delle applicazioni che offre. In genere, si tende a circoscrivere la PNL nell’ambito commerciale, in quanto strumento per manipolare un interlocutore e convincerlo a comprare qualcosa o accettare un’idea. La PNL, invece, è innanzitutto uno strumento di relazione. In quanto tale, può essere utilizzato anche per educare i propri figli.

E’ questo il presupposto sul quale si basa l’ultimo libro dell’ipnoterapista inglese Alice EatonWords That Work: How To Get Kids To Do Almost Anything, nel quale illustra dieci consigli – basati sulla Programmazione Neurolinguistica – per favorire il concetto di ubbidienza nei più piccoli.

Il decalogo procede da tre principi della PNL. In primo luogo, tentanto di ispirare un atteggiamento costruttivo (sostituendo le frasi negative con le frasi positive). Secondariamente, puntano sullo sviluppo dell’empatia (e nello specifico sul mettersi nei panni altrui). Infine, conferiscono per quanto possibile l’illusione di un ruolo attivo ai bambini.

Ecco i dieci consigli.

Positivizzare le richieste. Sostituire, per esempio, “Non lasciare la camera in disordine” con ” Che ne dici di mettere a posto la tua camera?”.

Dare l’illusione della scelta. Se il comando è “vestiti per andare a scuola” è bene inserire un elemento di scelta, per quanto inutile possa sembrare. “Per andare a scuola vuoi metterti la maglia rossa o la maglia blu?.

Sostituire la sanzione con il premio. Se la minaccia è di privare il bambino dei suoi giochi, è bene trasformare il gioco in premio. Dunque è necessario passare da “Se non vai a scuola, niente giochi” a “Dai, vai a scuola così poi potrai giocare”.

Mettersi nei panni dei figli. In questo modo, il bambino non avrà la sensazione di stare subendo un sopruso. Sono utili frasi del tipo “Se fossi in te io pulirei la mia camera”.

Dire grazie e per favore. Beh, lo ha consigliato anche Papa Francesco. Comunque è vero: riduce la sensazione di stare subendo un autorità, che al bambino piace tradizionalmente poco.

Spiegare il perché. E’ difficile, anche perché i bambini in genere non hanno la capacità di comprensione e di astrazione di un adulto. Spiegare però vuol dire partecipare, e la partecipazione implica un ruolo attivo.

Farli parlare. E’ bene indorare la pillola ascoltando un po’ il bambino. Se è restio a parlare è possibile spingerlo a dire la sua con un bel “cosa ne pensi”. La questione è la stessa: se il bambino si trasforma da soggetto passivo a soggetto attivo, è più incline a scendere a patti con il genitore.

Rispondere alla lamentele con delle domande. Qua non si tratta di ubbidire, ma di interrompere un capriccio, per esempio il rifiuto a mangiare un piatto perché troppo caldo. In questo caso, si possono chiedere delle soluzioni proprio al bambino.

Trasformare un problema in soluzione. Ci vuole un po’ di dialettica. Se il bambino, per esempio, dice “non faccio i compiti perché non sono bravo” il genitore può rispondere “i compiti servono proprio a farti diventare bravo”.

Ricordare ai bambini cosa sanno fare. Quando sono giù perché hanno sbagliato a fare una compito, e si rifiutano di riprovarci perché demoralizzare, è bene ricordare loro cosa sanno fare per conferire fiducia in loro stessi.