La Social Responsability ha acquisito un’importanza elevata negli ultimi anni. Un cambiamento che ha assunto il ruolo di vero e proprio spartiacque tra il passato e il presente, un elemento di discontinuità forte tra le vecchie forme di business e di quelle nuove. Se la Social Responsability si è resa protagonista di una certa ascesa, il merito è del percorso evolutivo che ha intrapreso la società nel suo complesso, che si è concretizzato in una presa di coscienza sempre più diffusa (e non più a macchia d’olio) circa i rischi che il pianeta sta correndo e l’importanza di alcune tematiche etiche.

E’ ovvio: se una cosa interessa al target, deve interessare anche all’azienda. Questo è un principio di marketing antico e nello stesso tempo eterno, ma anche una chiave per comprendere il ruolo che ha assunto la Social Responsability nel rapporto tra azienda e consumatore. Un rapporto che in alcuni casi, proprio a causa della SR, si è corrotto forse inevitabilmente, e che ha richiesto una frenetica corsa ai ripari. Basti pensare a McDonald, che proprio in virtù di una maggiore consapevolezza dei consumatori circa il mangiar sano, ha praticamente stravolto l’offerta di prodotti e – forse – la sua stessa ragion d’essere.

L’ascesa della Social Responsability è palpabile, evidente anche a occhio nudo. E’ però certificata anche dai dati, come quelli pubblicati di recenti da Nielsen Company. L’ultimo studio, chiamato “The Sustainability Imperative” ha studiato, tra le altre cose, l’importanza che alcune leve ricoprono nella percezione dei consumatori. Per quali motivi si acquista un prodotto? Una domanda che i marketer si pongono da sempre.

A sorpresa, ma fino a un certo punto, il fattore determinato si è rivelato essere proprio la “sustainability”, dunque l’aderenza alle tematiche etiche. Il 66% degli intervistati lo reputa infatti un fattore determinante. La crescita di questa percezione è palese, dal momento che nel 2014 ha risposto così il 55% degli intervistati e nel 2013 solo il 50%.

Il fattore “responsabilità” ha superato persino il fattore “promozione” (sconti, coupon etc). Un primato che ha spinto Carol Gestalder, vicepresidente di Nielsen, a commentare in questo modo: “I valori personali sono più importanti dei benefici individuali, come il costo o la convenienza“. Lo stesso dirigente ha comunque ribadito che la creazione di reputazione su “base etica” è un processo lungo e dispendioso. Non si tratta quindi di una velleità morale, ma di un vero e proprio investimento, una sorta di fase propedeutica alle attività di fidelizzazione.