Il marketing nelle squadre di calcio è entrato da poco. D’altronde, come aziende, hanno sempre funzionato in modo sui generis. Basti pensare che la maggior parte dei costi è “impiegato” nel mantenimento della “produzione”, ossia i calciatori. E’ ovvio: coloro che riescono a inserire elementi di marketing nel management dei club, e soprattutto farlo in modo efficace, possono essere considerati dei veri e propri pionieri.

Tra tutti gli uomini di marketing nello sport, spicca Ferran Soriano. Catalano, ex direttore generale del Barcellona che nei primi anni duemiladieci ha vinto tutto, nel 2012 è passato al Manchester City, guidato dagli sceicchi del Gruppo Eithad.

In poco tempo ha messo in pratica una strategia a dir poco geniale. Si è posto come obiettivo la crescita del brand Manchester City a livello globale. Per raggiungerlo… Ha creato altre squadre. Può sembrare un controsenso, ma non lo è. A spiegare il meccanismo che sta alla base di questa strategia è la famosa testata calcistica l’Ultimo Uomo.

Vengono create squadre che hanno in comune con il Manchester City molte caratteristiche. La parte finale del nome, “City” appunto (Melbourne City, New York City Etc). I colori sociali, in genere il celeste chiaro, da declinare in tinta unita. La filosofia di gioco, improntata sul possesso palla e l’approccio offensivo. Per finire con il management, le strutture di scouting e così via.

Lo scopo è molto semplice: aumentare la riconoscibilità del marchio City, e indirettamente del Manchester, che è – per via della sua lunga storia – la prima squadra che viene in mente (tra quelle inserite nel network).

E’ anche una questione economica, di risparmio dei costi. Il costo più grande, si è detto, è rappresentata dalla spesa per l’acquisto dei giocatori e gli stipendi milionari. Un costo che può essere enormemente contratto, se vengono utilizzate le partite di giro. Secondo lo stesso Ferran Soriano, infatti: “A 18 anni un calciatore magari non può giocare per il Manchester City ma potrebbe giocare per il New York e forse a 32 anni andrà a Melbourne. Questo ipotetico giocatore futuro, pescato nelle giovanili del New York, fatto maturare a Manchester e svernare a Melbourne, avrà giocato di fatto per un’unica “squadra”: il City”.

I rischi di questo modello di business, sulla carta una genialata, ha un solo ostacolo: la tifoseria. Gli ultrà difficilmente accettano di essere inseriti in una gerarchia, non digeriscono che la loro squadra venga utilizzata per parcheggiare i giocatori. Il rischio ribellione è sempre dietro l’angolo. E’ stato dimostrato ultimamente: David Villa ha giocato per qualche partita con il Melbourne, prima di passare al New York. I tifosi del club australiano non l’hanno presa granché bene.