Il terrorismo praticato dall’Isis è diverso da quello a cui Al Qaeda ci ha abituato. E’ evidente anche agli occhi dei meno esperti. E’ sufficiente guardare uno dei tanti video della loro propaganda: girati con tecniche cinematografiche, post-prodotti con software all’avanguardia, diffusi attraverso le piattaforme del web 2.0 (soprattutto Twitter). Fin qui, la svolta intrapresa dal Califfato Islamico sembra ridursi a una mera questione di operatività: vengono fatte le stesse cose, ma in modo diverso. E invece è una questione di strategia. E’ la tesi che Bruno Ballardini, giornalista e pubblicitario tra i più famosi d’Italia, illustra nel suo ultimo saggio, “Isis, il marketing dell’Apocalisse“.

Bruno Ballardini dichiara che la guerra tra l’Isis e Occidente non è un affare squisitamente politico, o sociale. E’ soprattutto una questione di marketing. Le armi e il terreno di scontro sono quelli tipici del marketing. Elemento, questo, che viene declinato a tutti livelli, dalla strategia alla tattica.

I due competitor (perché alla fine di questo si tratta) lottano per il predominio dello stesso mercato, ossia per conquistare un pubblico. Il riferimento è alla vastissima zona grigia, quella che sta a cavallo tra la civiltà occidentale e quella islamica, e che comprende: gli immigrati nei paesi occidentali, i musulmani attratti dalle sirene occidentali, gli immigrati di seconda generazione. Tutte quelle fasce di popolazione che non sono totalmente occidentali o totalmente islamici, e si trovano – dal punto di vista identitario – tra due mondi, quindi più facili da plagiare, convincere, attirare a sé.

Isis e Occidente utilizzano le tecniche del marketing politico ma anche quelli del marketing commerciale. Si può parlare di marketing politico, perché entrambi i player diffondono l’etnocentrismo tipico della propaganda stile Novecento: l’unico mondo possibile è il proprio. Certo, si può discutere circa la dimensione etica di questo mondo (anzi, no: la risposta la sappiamo tutti) ma è evidente che tanto l’Occidente quanto l’Isis, e in genere il variegato mondo dell’islamismo radical integralista, negano all’avversario qualsiasi ragione d’esistere.

Parallelamente, si può parlare di marketing commerciale perché la tendenza è quella di vendere un prodotto, in questo caso culturale, al target di riferimento cercando di fare leva sui propri punti di forza ma anche sulle debolezze dell’avversario. Il tutto utilizzando tecniche di comunicazione piuttosto moderne, come lo storytelling strumentale. L’era delle crociate è finita da un pezzo, ma l’Isis ha ricreato quel modo di vedere le cose (i video di propaganda assegnano agli europei e agli americani il ruolo di crociati) a prescindere dal fatto che risponda alla verità o no. Semplicemente, funziona, e quindi viene utilizzato. L’impressione, nonostante sia chiaro dove stia il torto e dove stia la ragione, è che anche l’Occidente faccia la stessa cosa.