Filippo Facci non è certo uno dei giornalisti più amati d’Italia. Non in rete, almeno, dove viene continuamente bersagliato di critiche e – a volte – di insulti. Un odio ricambiato, se non altro. Eppure le opinioni di Filippo Facci sono spesso interessanti, perché in grado di distruggere certezze e offrire un punto di vista davvero alternativo. Certo, il rischio è che si sfoci nel delirio, ma è un prezzo che il giornalista è disposto a pagare (e con lui i suoi lettori).

Filippo Facci si sta rendendo portatore negli ultimi tempi di una interpretazione alquanto singolare della professione del giornalista. Una interpretazione che espone spesso quando viene intervistato in televisione o quando i suoi pezzi porgono il fianco a una riflessione sul mestiere.

Il pensiero del giornalista di Libero procede dall’analisi delle difficoltà che il giornalismo tradizionale sta vivendo, e che sono sotto gli occhi di tutti. In primo luogo, la crisi di un modello di business che ha retto per due secoli. Secondariamente, l’invasione di campo da parte dei social network e del Citizen Journalism. Terzo, la necessità di fondere – per attirare audience e sopravvivere in un periodo in cui il finanziamento pubblico è quasi un ricordo – spettacolo e informazione.

A partire da questi elementi, Filippo Facci opera una riflessione che è allo stesso tempo originale e sconfortante. La verità è che, se escludiamo un manipolo preciso e circoscritto di professionisti, non c’è nessuno che può dirsi “giornalista”.

Non sono giornalisti coloro che scrivono sui giornali, perché devono cedere alle dinamiche che sono state descritte poc’anzi. Non sono giornalisti coloro che organizzano dibattiti in televisione e organizzano i talk show. Non sono giornalisti nemmeno i reporter, perché devono cucire contenuti in grado di divertire, prima ancora che informare.

E allora, chi può dirsi giornalista? Secondo la firma di Libero, solo i giornalisti delle agenzie di stampa sono tali. Oggi, solo loro sono svincolati dalle dinamiche dell’infotainment, solo loro possono sopravvivere senza vendersi ai meccanismi pubblicitari (proprio perché svolgono una funzione di approvvigionamento). Solo loro, in definitiva, lavorano con la notizia, nel senso più crudo del termine.

E gli altri? Secondo Filippo Facci tutti i giornalisti che si dichiarano tali, e che sono magari iscritti all’Albo, non possono dirsi tali. Per loro – e quindi anche per se stesso – ha coniato la singolare espressione di “operatori generici di comunicazione“. Un espressione che non brilla per nobiltà e per dignità, dal momento che relega tanti professionisti a un limbo fatto di incertezze, nel quale non si sa bene chi sia carne e chi sia pesce.