Il fenomeno del clickbait è emerso prepotentemente con la diffusione dei social network. Non che prima fosse sconosciuto, anche se non si chiamava certamente così. L’arte di vendere un articolo a partire dal suo titolo, e quindi rendere quest’ultimo interessante e accattivante ben oltre le sue reali potenzialità, ha sempre influenzato il mondo giornalistico. Queste dinamiche, però, oggi si sono ingrandite perché il tempo che l’utente dedica alla selezione degli articoli da leggere è molto diminuita. In breve, un internauta decide se aprire o no un contenuto in pochi secondi, e forse anche meno. E’ ovvio, quindi, che le richieste di attrattiva sono cresciute a dismisura.

C’è chi si è adattato subito, c’è chi lo ha fatto con ritardo. Chi ancora resiste strenuamente. Il problema è che, in assenza di un modello di gestione dei contenuti e delle utenze più efficiente, fare click bait vuol dire spesso sopravvivere. L’ossigeno di internet è il traffico, e il clickbait offre visite e visualizzazioni in modo molto spiccio o diretto.

Ecco spiegati, quindi, i “gattini” in cima alle pagine del Corriere.it. Semplicemente, producono visite, e quindi introiti pubblicitaria. Fa niente se sei il primo giornale italiane: il gattino funziona. Questo fenomeno rivela quanto sia fragile il giornalismo professionistico nell’era di internet: rischia di soccombere al cospetto della miriade di pulpiti, è troppo costoso per mantenersi facendo quello che faceva prima, quindi si deve adeguare anche snaturando l’essenza.

Già a partire da queste semplici righe si può intuire il peggiore effetto collaterale del click bait, quando a produrlo è un giornale ufficialmente serio, una testata vera e propria, nota a livello nazionale.

In primo luogo, abbassa la reputazione. Prendiamo l’esempio del Corriere. E’ noto come il giornale liberale per eccellenza, saggio ed equilibrato nelle sue riflessioni, oggettivo e imparziale. Cosa c’entra i gattini? Cosa c’entrano gli articoli acchiappa-click? E’ evidente che gli obblighi di coerenza vanno tranquillamente a farsi benedire. Peccato che la coerenza sia un valore importante nella comunicazione, e spesso risulta fondamentale per farsi apprezzare presso il proprio target.

Poi, tanto nella percezione quanto nella realtà, il rischio è quello di un livellamento verso il basso. Se un qualsiasi blog di periferia e una testata fasulla creare titoli sensazionalistici e fuorvianti, e lo stesso fa un giornale, allora i due termini di paragone sono una cosa sola, o almeno una cosa molto simile. Si può bene intuire come questo passaggio logico sia devastante, a livello di percezione, per un giornale.