Quando è stato varato, nel lontano 1999, il 3+2 è stato accolto con molti pareri favorevoli. D’altronde, sanciva ufficialmente la possibilità, per i ragazzi, di entrare nel mondo del lavoro anche solo dopo tre anni di università. Dopo sedici anni, però, questo format rivela tutte le sue debolezza. Anzi, a dire il vero forte non è mai stato. Il motivo è sotto gli occhi di tutti: la laurea triennale, o mini-laurea che dir si voglia, non si è dimostrato uno strumento sufficiente ai fini della ricerca del lavoro. O, almeno, per la maggior parte dei laureati è così.

A questa evidenza, già di per sé negativa, se ne aggiungono altre due. Questa volta il senso comune non c’entra. A esprimere la sentenza di condanna è stata la Corte dei Conti, con uno studio dal titolo “Referto sul sistema universitario“. E’ un po’ vecchio, reca infatti la data del 2010, ma la situazione – almeno dal punto di vista legislativo – non è cambiata, dunque risulta ancora valido.

Secondo la Corte dei Conti, dall’introduzione del 3+2 si sono verificate due conseguenze negative, le quali hanno contribuito ad abbassare notevolmente il livello di efficienza della formazione universitaria. Al centro della questione, l’offerta formativa e i tassi di abbandono.

I problemi dell’offerta formativa sono intuibili e sotto gli occhi di tutti. Da questo punto di vista la Corte dei Conti non fa altro che confermare una opinione giù diffusa, e arricchirla con alcune evidenze numeriche. L’offerta formativa è aumentata ma si è anche frammentata, e di parecchio, senza che ce ne sia stato realmente bisogno. Nello studio, infatti, si legge che “I corsi di studio sono passati dai 2.444 dell’anno accademico 1999-2000 ai 3.103 dell’anno accademico 2007-2008. Se si aggiungono anche i corsi di II livello, il numero complessivo di corsi attivi nell’anno accademico 2007-2008 è di 5.519 a fronte dei 4.539 dell’anno 2003-2004“. Non è un caso che la Corte dei Conti parli di “moltiplicazione non motivata” dei corsi di studio.

Il secondo problema riguarda gli abbandoni. Sono in tanti a cadere già nel corso del primo anno: qualcosa come il 20% degli immatricolati. La percentuale è leggermente più alta di quella che si registrava nel periodo pre-riforma, dunque si può asserire che il 3+2 non abbia migliorato la situazione. Di certo, non ha contribuito al contenimento del problema l’ampliamento indiscriminato dell’offerta formativa, il quale ha probabilmente posto in essere alcune difficoltà sul fronte orientamento.

Non stupisce quindi il giudizio finale – alquanto impietoso – della riforma: “non ha migliorato la qualità dell’offerta formativa nemmeno in termini di più efficace spendibilità del titolo nell’ambito dello spazio comune europeo“.

Queste difficoltà spingono molti studenti a cercare canali di formazione alternativi, o almeno complementari. La fiducia sull’efficacia dell’università italiana infatti non è mai stata a un livello così basso. Da questo punto di vista, internet può apparire come una risorsa, e in particolare il filone dei corsi online. Almeno, in questo caso sono gli studenti – e solo loro – i responsabili della propria offerta formativa.