Il sistema formativo italiano è da migliorare. Secondo alcuni, è proprio da buttare. Un parere, questo, che proviene da un insider, visto che a pensarla così è Alessandro Rosina, docente alla Cattolica di Milano e presidente di Italents.

Il giudizio è impietoso, anche perché colpisce uno dei bisogni degli studenti: l’autorealizzazione e il successo.Quando ci sono storie di successo di aziende, non c’è mai una connessione con l’università” ha dichiarato durante una conferenza organizzata dalla famosa testata Linkiesta.

Il motivo dello scollamento tra successo e università ha a che fare, tra le altre cose, con la pessima struttura che regge l’offerta formativa. Un problema, questo, che ha più che altro un’origine normativa. “Siamo ancora dentro il peggiore sistema universitario che si potesse avere. Il 3+2 è uno scempio. Nel biennio si replica a grandi linee il triennio e si tengono i ragazzi nelle stesse università, quando la cosa migliore sarebbe fare il triennio in Italia e poi il master di un anno all’estero”.

Ma a influenza il giudizio negativo è anche una avversione al cambiamento che prescinde qualsiasi difetto strutturale, e che riguarda invece la mentalità. Il risultato è la lontananza tra università e mondo del lavoro: “È un sistema che non si sa adeguare al cambiamento anche perché gli atenei non hanno applicato adeguatamente la riforma: nelle università pubbliche non sono mai stati creati dei centri di placement efficienti. Nel passaggio dal sistema a 4/5 anni precedente al 3+2 abbiamo svuotato di profondità culturale le università e non le abbiamo connesse con il lavoro. Siamo in mezzo, ma lo siamo da troppo tempo, dalla fine degli anni Novanta”.

Il fatto che il sistema universitario – e in generale quello formativo – in Italia sia così pieno di lacune alimenta la necessità, per gli studenti, di rivolgersi a canali alternativi di formazione. Una formazione che deve essere continua: “anche perché, ci sono tantissimi lavori che tra cinque anni non esisteranno più, anche nel mondo digitale. Bisogna continuare a esaminare il mercato e capire cosa l’innovazione tecnologica va a distruggere e creare di nuovo”. Sarebbe bene inserire la formazione nella vita lavorativa, magari in modo orizzontale, peccato che “noi in Italia questo lo facciamo pochissimo”.

Dunque, cosa rimane? Il web, e chi crede nelle sue potenzialità, si stanno attrezzando. Non è un caso che molti professionisti, in collaborazione con intermediari che poco hanno a che fare con l’elefantiaca burocrazia universitaria, offrano con sempre maggiore frequenza il loro sapere attraverso la realizzazione dei corsi online. Questi rappresentano un canale certamente nuovo, ma che si sta affacciando con successo anche in Italia.