Qualche anno fa, in periodo di vacche grasse (se mai ce n’è stato uno) un giovane neolaureato poteva permettersi di ignorare l’ipotesi di frequentare un master: aveva ottime probabilità di trovare lavoro con il pezzo di carta che si ritrovava in mano. Oggi la disoccupazione dialaga e il mercato del lavoro è diventato estremamente competitivo. Occorre specializzarsi, quindi si ripiega sui master. Prima di effettuare il bonifico dell’iscrizione, però, è bene considerare alcune problematiche legate a questo oneroso livello di formazione. Il rischio è quello di perdere denaro e tempo, anche perché è difficile prendere la decisione sbagliata.

Quand’anche si prendesse la decisione giusta, però, non significherebbe raggiungere l’obiettivo del posto di lavoro. A dirlo non è un detrattore qualsiasi, ma Almalaurea, ente che realizza ricerche – a volte censuarie e non campionarie – sui neolaureati. Il risultato di una indagine recente dipinge un quadro a tinte fosche: non v’è quasi differenza tra il tasso di occupazione tra la popolazione che ha conseguito la laurea e il tasso di occupazione tra la popolazione che ha frequentato un master.

A fare la differenza, comunque, è la qualità del master. Questa si decide in base al criterio di provenienza. I master universitari offrono maggiori garanzie, perché almeno hanno alle spalle una istituzione riconosciuta. I master non universitari, e quindi promossi dal fondazioni o società private sono un salto nel buio. Certo, in alcuni ambiti è previsto un accreditamento (es, l’ASFOR per i master in marketing e comunicazione) ma si tratta della minoranza. E’ un particolare al quale occorre fare molta attenzione: il rischio è quello di perdere un anno di studio e trovarsi punto e a capo.

Alcuni problemi interessano anche i master universitari. Le riserve sono soprattutto due. La prima ha a che fare con i professori. Non è raro che i master, più che offrire un sapere strutturato e utile, rispondano a esigenze cattedatriche dell’università. Sicchè l’offerta formativa risulta forzata a sostanzialmente inservibile. La seconda riserva ha a che fare con l’accesso al mondo del lavoro. Le università sono famose per non essere collegate al mondo del lavoro. Non c’è sinergia. Le prospettive a livello di contatti sono per lo più molto risicate.

Ciò non vuol dire che tutti i master sono da evitare. Anzi, alcuni sono utili, ma il problema sta nella difficoltà a riconoscere – a priori – quelli veramente efficacia. C’è gente che non si fida, anche perché “balla” sempre qualche migliaio di euro, e quindi propendono per una formazione più modularizzata e quindi gestibile in caso di fallimento. Un esempio è dato dai corsi online.