Il futuro dell’Italia poggia sulla formazione. A dirlo non è qualche politico italiano ma l’Ocse, che in uno studio recente ha rilevato i numeri della formazione nei paesi sviluppati, tra cui spicca il Bel Paese. Spicca sì, ma non positivamente. Sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo non ce la caviamo bene. Questo problema investe soprattutto gli adulti, quindi i lavoratori che hanno concluso da un pezzo i loro cicli scolastici. Il dato è allarmante: l’Italia è il 24esimo paese in Europea per capacità di comprensione di un testo. Ovviamente, la formazione non si riduce alle competenze letteraria, ma è indicativo di un fenomeno: gli italiani si formano poco durante la propria carriera lavorativa. Insomma, dopo la scuola o l’università poco e niente.

Si legge in una nota dell’Ocse: “Nel nostro Paese, ma in parte anche in Europa, sostiene il Presidente dell’Ocse, si sprecano molti soldi per la formazione professionale, che tra l’altro è gestita dalle regioni, ma i risultati non sono soddisfacenti, tanto che la formazione che funziona è quella fatta all’interno dell’azienda”.

L’ente quindi da un lato espone il problema ma dall’altro presenta un fattore positivo: la formazione in azienda. Le noti dolenti però ci sono anche in questo ambito. Se la formazione delle regioni è qualitativamente scarsa, quella delle aziende lo è sul piano quantitativo. Lo strumento funziona, ma viene adoperato poco per mancanza di risorse. E questo nonostante un sensibile aumento delle attività negli anni pre-crisi. La percentuale di imprese che organizzano almeno un corso formativo all’anno è passata dal 32% del 2005 al 44% del 2009. E’ evidente che non basta, visto che Francia e Germania superano il 70%.

A trarre le conclusioni dello studio dell’Ocse è stato l’Infap, l’Istituto Nazionale Formazione e Addestramento Professionale, che ha dedicato un lungo editoriale all’ndagine. Emerge, in breve, che il problema della formazione è un problema grosso, dal momento che ne va della competitività dell’Italia nei mercati globali. Rischiamo, in buona sostanza, di rimanere indietro: “Oggi le competenze hanno bisogno di essere rinnovate in continuazione, perché il dato caratterizzante della nostra società è la rapida obsolescenza della conoscenza. In sintesi: se uno non si aggiorna con continuità è fuori mercato ed è fuori mercato anche l’azienda in cui lavora. Per questo, per non lasciare l’Italia in panne, serve una riforma radicale del sistema di istruzione e di formazione”.

La formazione regionale è carente, la formazione aziendale da sola non basta. Cosa rimane al lavoratore che, in tempi di crisi, deve competere in patria e all’estero per trovare un posto di lavoro (e mantenerlo)? Una possibile risposta può essere quella dei canali formativi alternativi, tra cui spiccano i corsi online. Il web ne è pieno, quindi si tratta di una opportunità da sfruttare.