Il Consiglio dei Ministri ha recentemente approvato lo schema di disegno di legge di delegazione europea utile per reintrodurre all’interno dell’ordinamento italiano l’obbligo di indicazione dello stabilimento di produzione o di confezionamento dei prodotti alimentari. L’obbligo riguarderà tutti gli alimenti che vengono prodotti in Italia e che sono destinati la mercato nazionale, generando dunque un evidente passo indietro nel tempo, considerato che a fine 2014 era entrata in vigore la normativa europea sulla fornitura di informazione sugli alimenti ai consumatori, che eliminava l’obbligo di indicare in etichetta tali dati.

In seguito alla novità, la trasparenza sui prodotti alimentari dovrebbe giovarne in misura rilevante, visto e considerato che senza l’introduzione nel nostro ordinamento di tale aggiunta, sarebbe pressoché impossibile riconoscere nel cibo in vendita l’origine dei prodotti agricoli impiegati, o il luogo di trasformazione e di confezionamento. Pertanto, risulterebbe altresì più facile “vendere” come italiani dei prodotti che, in realtà, sono stranieri.

Accogliendo positivamente la novità, Coldiretti ha ricordato come il via libera del Consiglio dei Ministri risponde all’esigenza di quasi 9 italiani su 10 (87%), che avevano espresso tale preferenza attraverso una consultazione di natura pubblica. Si tratta inoltre di una misura a costo zero, in grado di sostenere l’occupazione e la competitività del made in Italy.

Stando a quanto ricordava il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo, sulle pagine del Corriere della Sera, attraverso tale novità “inizia un percorso di trasparenza che abbiamo fortemente sostenuto con la nostra mobilitazione al Brennero per arrivare al più presto anche all’obbligo di indicare in etichetta la provenienza di tutti i prodotti agricoli ed alimentari che è peraltro la principale richiesta che viene dall’importante consultazione pubblica promossa dal ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina”.

Non tutti sembrano però essere d’accordo. Confcommercio sottolinea ad esempio come il provvedimento non solo non è una misura in grado di incrementare la competitività del made in Italy, ma rischia invece di tradursi in costi e in oneri aggiuntivi per gli operatori nazionali, considerato che la normativa si potrà applicare solamente ai prodotti che vengono confezionati in Italia, non potendosi invece applicare a livello europeo. Per tali motivi la confederazione dei commercianti ha poi domandato al governo che venga per lo meno assicurato a tutte le imprese della distribuzione italiana un congruo arco temporale utile per poter smaltire i prodotti che sono già stati etichettati, pur senza indicazione dello stabilimento.