I corsi di laurea in Scienze della Comunicazione hanno una pessima nomea. Presso gli altri studenti ma anche presso le istituzioni, o almeno una parte di essa. Appartiene all’immaginario collettivo una storica dichiarazione dell’allora Ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini, che urbi et orbi (in verità in uno studio televisivo) un giorno tuonò: “Riteniamo che piuttosto di tanti corsi di laurea inutili in scienze delle comunicazioni o in altre amenità servano profili tecnici competenti che incontrino l’interesse del mercato del lavoro”. Queste parole fanno il paio con quelle pronunciate, sempre qualche tempo fa, da Bruno Vespa: “Non iscrivetevi a Scienze della Comunicazione, fareste un tragico errore”.

Impressioni, queste, o per meglio dire giudizi tranchant che riflettono il pensiero del senso comune. Non stupisce, quindi, che siano molti i nomignoli che vengono attribuiti a questo tipo di corsi di laurea: scienze della disoccupazione, scienze delle merendine… Proprio da questi dispregiativi è possibile partire per sfatare due miti che riguardano proprio i corsi di laurea in Scienze della Comunicazione.

Scienze della Comunicazione è una fabbrica di disoccupati. Si potrebbe dire che tutti i corsi di laurea oggi, almeno in Italia, siano sinonimo di disoccupazione. D’altronde il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli allarmanti, ma è una credenza diffusa che un laureato in comunicazione faccia più fatica degli altri a trovare lavoro. A smentire questa tesi però è Almalaurea, ente di ricerca che studia il rapporto tra mondo del lavoro e studenti universitari. I numeri non lasciano spazi a fraintendimenti di sorta: non è vero che chi studia comunicazione è condannato alla disoccupazione. E’ una verità più forte di quanto si possa pensare, anche perché i dati di Almalaurea risalgono al 2012, anno in cui la crisi ha raggiunto il suo apice. Almalaurea informa che l’80% dei dottori in comunicazione trova lavoro entro un anno-un anno e mezzo dalla laurea. Percentuale che scende al 52% se sei mesi successivi al conseguimento.

Un altro mito da sfatare riguarda quello della dispersione. Scienze della Comunicazione sarebbe inutile perché dispersiva. Cosa si studia di preciso? E’ una domanda che gli studenti di altre facoltà si pongono. Spesso, rispondere non è facile per gli stessi immatricolati nei corsi di comunicazione. Questo è in effetti un mito che si avvicina al vero. Le materie sono molte, abbracciano molto ambiti. Si impara un po’ di tutto. Questo da un lato può provocare disorientamento nello studente ma dall’altro permette di maturare le cosiddette “policompetenze”. Chi studia comunicazione ha una mentalità più aperta, è più flessibile e quindi può essere “speso” dal punto di vista lavorativo. Forse è proprio per questo motivo che gli studenti di Scienze della Comunicazione riescono a trovare lavoro…