La comunicazione sociale così come viene realizzata oggi non funziona. Il motivo è semplice: la gente pensa all’elefante. E’ questa la tesi che George Lakoff, linguista di fama internazionale e docente all’Università di Berkeley, California, che ha esposto nel saggio “Don’t think to the elephant”. Per capire cosa c’entra l’elefante con la comunicazione sociale dobbiamo partire dallo stato dell’arte della comunicazione sociale stessa.

Quali sono gli elementi su cui si basa la comunicazione sociale? L’immagine più evocativa, e anche più abusata, ritrae una donna picchiata e una qualche scritta contro la violenza sulle donne. Una scritta che è poi una frase, sempre con il verbo sottoposto a negazione. Per la serie: “Non fare questo!”.

Questo vale per tutte le tipologie di comunicazione sociale e per tutti i tipi di messaggio. Si invita a non fare un’azione. Si passa dal non gettare una cartaccia per strada e non guidare ubriachi e si arriva al non usare violenza. Tutto giusto, dal punto di vista morale. Dal punto di vista della comunicazione, però, tutto tremendamente inefficace. Il problema sta nel nostro cervello. Funzioniamo al contrario. Quando qualcuno ci dice di non fare qualcosa, la facciamo. Come minimo, valutiamo – seppure inconsciamente – l’idea. Pensiamo ai bambini: la mamma vieta di mangiare la marmellata, e magari la nasconde pure. Nel piccolo però, al solo sentire questo divieto, aumenta la voglia di mangiare la marmellata.

Ecco che la questione dell’elefante prende forma. Tutto si lega a una famosa storiella anglosassone, secondo cui dire “non pensare all’elefante” è il miglior modo affinché l’interlocutore pensi proprio all’elefante.

Lo stesso accade nel caso delle compagne sociali. Dire: non picchiare le donne! e visualizzare l’atto, per quanto brutale possa essere, produce due reazioni in base al fruitore.

Se il fruitore non è un violento, genere indifferenza. Viene visualizzata l’azione, però la negazione non riesce a produrre l’adeguata sensibilizzazione.

Se il fruitore è un violento, sono guai. Proprio come l’elefante si materializza nella mente dell’interlocutore appena gli viene vietato di pensarci, l’atto di picchiare le donne viene chiaramente evocato a chi lo ha fatto o rischia – per indole, per disonestà, per brutalità, di farlo. Il violento vede che qualcuno – anche se immaginario – compie il suo stesso gesto, di rende conto, magari a un livello inconscio, che non è il solo a commettere il crimine. Dunque, non se ne vergogna – si parla di vergogna sociale. E’ come quando un politico ruba: se rubano anche gli altri, la responsabilità personale diventa un concetto molto vago.

Dunque, che fare? Il segreto, secondo George Lakoff ha a che fare più con una offerta che con una privazione. L’offerta è un’azione positiva, che aggiunge. Offerta di cosa? Di valori. Valori che, sia chiaro, devono essere funzionali al messaggio ma che devono creare uno schema interpretativo nel quale non c’è posto per – facciamo un esempio – la violenza sulle donne. Quando questi valori vengono assorbiti, la violenza non viene praticata perché estranea al proprio modo di pensare e agire. Non è nemmeno concepibile.